La vita non è un ristorante ma un buffet. Lasciatevi servire. (Dominique Glocheux)

01.03.2021

Questo non è uno dei miei soliti racconti, ma voglio scriverlo perché spero di essere propositiva e d'ispirazione.

Inoltre, poiché il mio blog vuole mettere l'accento su ciò che la tavola rappresenta e racconta, mi sembra doveroso dire qualcosa.

Peserò ogni parola con attenzione perché so che le persone a cui è rivolto questo articolo stanno combattendo una battaglia pancia a terra e coltello tra i denti per salvare il loro lavoro, la loro azienda, i loro collaboratori, i loro fornitori, i loro dipendenti, le loro famiglie e so che in momenti come questi è difficile alzare lo sguardo e guardare otre le difficoltà quotidiane.

Lo scrivo inoltre perché ho fatto qualche timido passo nel mondo della ristorazione e ho imparato ad interpretare come vengono affrontate le difficoltà.

Queste premesse doverose le ho fatte per porre una questione che conta oggi e conterà ancora di più quando tutto questo sarà finito.

Per far capire quello che voglio dire, senza pretese di avere la verità assoluta nelle mie tasche, voglio condividere ciò che desidererei ritrovare quando ricomincerò a viaggiare, a girare ristoranti, a prendere gli aperitivi la sera fuori dall'ufficio o con gli amici; racconterò ciò che ho sempre cercato e che ora diventerà sempre più il mio criterio di selezione.

Quando decido di mangiare in un ristorante voglio fare un'esperienza, questa esperienza deve coinvolgermi; attraverso i sapori cerco una storia da raccontare, la storia di una famiglia, l'avventura di un'impresa, il territorio, le eccellenze, voglio sentire qualcosa di speciale, qualcosa che a casa per quanto possa cucinare bene non posso trovare. Qualcosa che faccia nascere in me la voglia di ritornare per fare nuove scoperte.

Tuttavia, quando vedo un menù infinito che passa dalla carne, al pesce, alla pizza, o un luogo sterile senza personalità o standardizzato, ambienti affollati e tanti camerieri in affanno che corrono tra i tavoli, sento di aver sbagliato qualcosa.

Il menù per me deve raccontare un modo di fare cucina, un gusto preciso, una tradizione, innovazione, il menù deve guidarmi ad una scelta emotiva prima ancora che al gusto.

Allora perché non alternare ciò che c'è già nei menù dei vostri ristoranti proponendo ogni volta piatti che siano armoniosi tra loro o che abbiano ingredienti particolarmente freschi e perché no, di vostra produzione? Magari abbinando un vino o meglio ancora la storia della ricetta.

Perché non arricchire l'ambiente e la tavola raccontando il vostro stile.

Perché non far sentire il vostro cliente speciale e unico creando la giusta intimità tra un tavolo e l'altro?

In questo momento così particolare possiamo investire solo su ciò che non costa nulla: mettiamo in campo la nostra creatività, mettiamoci alla finestra, osserviamo gli altri, cogliamo ispirazione e ispiriamoci a vicenda per realizzare qualcosa di unico tutti insieme.

Si chiama visione prospettica e a me questa definizione piace molto: è la capacità di guardare in prospettiva ciò che stiamo facendo e ciò che accade intorno, ma io credo sia un modo meraviglioso per prepararci ad una nuova e più coinvolgente normalità, in cui le nostre identità potranno diventare uno scambio corale di esperienze.

In bocca al lupo per tutto.

Autore ✍️: Deborah Esposito

L'immagine di copertina è realizzata con un regalo che "Manu Bar" (Piazza Santa Barbara, 5, 20097 San Donato Milanese M ) ha deciso di fare ai suoi clienti più fedeli in questo periodo così difficile per dimostrare il valore che ha per lei il semplice gesto di prendere un caffè tutte le mattine in un momento in cui potremmo rimanere in casa e farlo con la moca. Io l'ho appezzato molto.

Racconti di Ospitalità - blog personale di Deborah Esposito
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